27 settembre 2017
di Luca Passadore
L’introduzione di una specifica disciplina delle terre e rocce da scavo “non-rifiuti” risale alla legge 21 dicembre 2001, n. 443. Dall’epoca la materia è stata oggetto di numerose e quasi continue modificazioni, “evoluzioni” e “rivoluzioni”, che sono, almeno per il momento, terminate con l’approvazione del decreto del Presidente della Repubblica 13/6/2017, n. 120 «Regolamento recante la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell'articolo 8 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164», entrato in vigore il 22 agosto 2017.
Il nuovo provvedimento è ora l’unico riferimento normativo in materia comportando espressamente l’abrogazione delle disposizioni normative che regolamentavano le modalità di gestione delle terre e rocce da scavo come sottoprodotti. Vengono, infatti, abrogati:
Il d.P.R. n. 120/2017 tratta varie tematiche relative alle terre e rocce da scavo, ed in particolare disciplina:
a) la gestione delle terre e rocce da scavo qualificate come sottoprodotti provenienti da:
b) il deposito temporaneo delle terre e rocce da scavo qualificate rifiuti, in deroga alle previsioni generali relative per il deposito temporaneo di rifiuti stabilite dall’art. 183, comma 1, lett. bb), del d.lgs. n. 152/2006;
c) l'utilizzo nel sito di produzione delle terre e rocce da scavo escluse dalla disciplina dei rifiuti;
d) la gestione delle terre e rocce da scavo nei siti oggetto di bonifica.
Il nuovo decreto non trova, peraltro, applicazione nei confronti di (art. 3):
In termini generali, il d.P.R. n. 120/2017 prevede che le terre e rocce da scavo possono essere gestite come sottoprodotti e non come rifiuti, se ricorrono le seguenti condizioni:
a) la loro produzione deve avvenire nel corso della realizzazione di un’opera, di cui costituiscono parte integrante e il cui scopo primario non è la loro produzione;
b) il loro utilizzo è conforme a quanto previsto e descritto in apposita documentazione (piano di utilizzo o dichiarazione di utilizzo) inviata preventivamente agli Enti e avviene nel corso dell’esecuzione della stessa opera da cui derivano o di un’opera diversa (per la realizzazione di reinterri, riempimenti, rimodellazioni, rilevati, miglioramenti fondiari o viari, recuperi ambientali oppure altre forme di ripristini e miglioramenti ambientali) o in processi produttivi in sostituzione di materiali di cava;
c) sono idonee ad essere utilizzate direttamente, ossia senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla “normale pratica industriale” (costituiscono, ad esempio, normale pratica industriale: la selezione granulometrica, la riduzione volumetrica mediante macinazione, ed altre operazioni indicate nell’allegato 3 al decreto);
d) rispettano i “requisiti di qualità ambientale” (garantiti quando il contenuto di sostanze inquinanti nelle terre e rocce da scavo, comprendenti anche gli additivi utilizzati per lo scavo, è inferiore alle Concentrazioni Soglia di Contaminazione - CSC - di cui alle colonne A e B della Tabella 1 allegato 5, al Titolo V parte IV del d.lgs. n. 152/2006, con riferimento alla specifica destinazione d’uso urbanistica del sito di destinazione).
Resta comunque che, ai sensi dell’articolo 185, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 152/2006, è totalmente escluso dall’ambito di applicazione della parte quarta del medesimo d.lgs. n. 152/2006 (non è in nessun caso rifiuto e non occorre applicare né il d.m. n. 161/2012, né l’articolo 41-bis del d.l. n. 69/2013) il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso dell’attività di costruzione, ove sia certo che il materiale sarà utilizzato ai fini di costruzione allo stato naturale nello stesso sito in cui è stato scavato, peraltro anche tale situazione viene ora disciplinata all’interno del d.P.R. n. 120/2017 (art. 24).
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