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Nella Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 192 del 18 agosto 2012, è stato pubblicato l’Accordo approvato il 25 luglio scorso, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, sul documento proposto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali recante «Adeguamento e linee applicative degli accordi ex articolo 34, comma 2 e 37, comma 2 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni e integrazioni».
L’Accordo, invocato da più parti per dirimere (e magari modificare), attraverso l’interpretazione autentica della Conferenza Stato-Regioni le (tante) criticità applicative contenute negli Accordi del 21 dicembre 2011 in tema di formazione per la sicurezza di lavoratori, dirigenti, preposti (e datori di lavoro che svolgono direttamente l’attività del servizio di prevenzione e protezione) , lungamente atteso, spesso annunciato come imminente, ma a lungo rimandato, fornisce, finalmente, seppur non tutte, molte delle risposte attese dagli operatori per intraprendere, con ragionevole tranquillità e certezza, il complesso, lungo (e costoso), percorso formativo aziendale, imposto dall’art. 37 (e 34, comma 2) del TU Sicurezza.
Seguendo lo schema logico-giuridico con il quale è stato impostato l’allegato A dell’accordo, cerchiamo di passare, brevemente, in rassegna le interpretazioni, le precisazioni, le indicazioni, fornite dal Ministero del lavoro d’intesa con il coordinamento tecnico interregionale assessorati sanità e con il coordinamento tecnico interregionale assessorati formazione, in ordine, in particolare, all’Accordo del 21 dicembre 2011 relativo alla formazione di Lavoratori, Dirigenti e Preposti.
Efficacia oggettiva e soggettiva degli accordi
Gli estensori dell’Accordo precisano, opportunamente (anche se non avrebbe dovuto essercene bisogno), che gli accordi del dicembre 2011, integrano le rispettive disposizioni di legge, individuando le caratteristiche essenziali e le modalità di svolgimento delle attività formative, i cui principi sono contenuti agli articoli 37 e (34) del d.lgs n. 81/2008.
Tale precisazione ha lo scopo di rendere evidente agli operatori la circostanza che l’individuazione dei contenuti e delle modalità dell’obbligo formativo per i lavoratori (ma anche per i datori di lavoro che svolgono direttamente l’attività di prevenzione e protezione) contenuta negli accordi, rappresenta il completamento, la specificazione di un obbligo di legge (artt. 34, comma 2 e 37, commi 1 e 2 del d.lgs n. 81/2008) e come tale la sua inosservanza produce dirette conseguenze penali, in quanto la normativa di riferimento è, notoriamente, sanzionata come contravvenzione.
Formazione di dirigenti e preposti
Quanto appena affermato non vale, oltre che per i soggetti previsti dall’art. 21 del D.Lgs n. 81/2008, ossia i componenti dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis del codice civile, i lavoratori autonomi che eseguono opere e servizi ai sensi dell’art. 2222 del codice civile, i coltivatori diretti del fondo, i soci delle società semplici operanti nel settore agricolo, gli artigiani e i piccoli commercianti individuali, per i quali la formazione resta facoltativa, salvi gli obblighi formativi previsti da norme speciali (come, ad es. quella di cui al DPR n. 177/2011, sui lavori negli ambienti confinati o a rischi di iquinamento), soprattutto per i dirigenti ed i preposti.
Rendendo esplicito ciò che nella “Premessa” dell’accordo ex articolo 37 del d.lgs. n. 81/2008, risultava, se non proprio nascosto, certamente di non immediata e chiara evidenza, in nuovo provvedimento sancisce che l’applicazione dei contenuti dell’accordo è, per i dirigenti ed i preposti, soltanto facoltativa e, quindi, non obbligatoria.
Da ciò discende che il datore di lavoro ben potrà ottemperare all’obbligo di garantire una formazione “adeguata e specifica” (in questi termini si esprime l’articolo 37, comma 7, del TU) dei dirigenti e dei preposti, anche progettandola e/o realizzandola in modo difforme rispetto ai precetti di cui all’accordo.
Si ribadisce, peraltro, a fini giustamente promozionali dell’accordo, che, progettata e realizzata in modo coerente rispetto alle previsioni dello stesso, la formazione dei dirigenti e dei preposti, consente al datore di lavoro di avvalersi della “presunzione semplice” (che ammette, cioè, la prova contraria), dell’avvenuto rispetto di quanto sancito dall’articolo 37, comma 7, del d.lgs. n. 81/2008.
Pare evidente, pertanto, l’opportunità di conformarsi ai contenuti degli accordi per fruire della presunzione di rispondenza della formazione di dirigenti e preposti ai requisiti di legge.
Formazione “specifica” e formazione “speciale”
Molti dubbi e problemi interpretativo-applicativi, avevano ingenerato alcuni passaggi dell’accordo del dicembre 2011 in ordine ai contenuti della formazione dei lavoratori, ai quali si era cercato di ovviare distinguendo la formazione specifica, quella variabile (4, 8, 12 ore a seconda del rischio aziendale) prevista dall’accordo, da quella “speciale”, ossia quella, diversa ed ulteriore, imposta dai c.d. Titoli tecnici (dal II al XI) o da altre normative collegate.
Infatti, mentre da una parte l’accordo affermava che la formazione in esso disciplinata doveva considerarsi appunto, “distinta rispetto a quella prevista dai titoli successivi al I del D.Lgs n. 81/2008 o da altre norme, relative a mansioni o ad attrezzature particolari”; dall’altra parte, immediatamente dopo, stabiliva che i percorsi formativi ulteriori, specifici e mirati, previsti dal d.lgs n. 81/2008 per lo svolgimento di operazioni o l’utilizzo di attrezzature, integrassero “la formazione oggetto del presente accordo”, aggiungendo, inoltre, ad aumentare la confusione, che “i rischi specifici di cui ai titoli del D.Lgs n. 81/2008 successivi al I costituiscono oggetto della formazione”.
Per porre rimedio a questa situazione l’accordo del 25 luglio chiarisce, in prima battuta, che “la formazione regolamentata esaurisce l’obbligo formativo a carico del datore di lavoro, a meno che il medesimo non sia tenuto – in base a una normativa differente rispetto a quella di cui all’articolo 37 del “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro – a corsi regolamentati da disposizioni aventi le caratteristiche delle norme speciali (sempre rispetto a quelle di cui all’articolo 37, citato), contenute nei Titoli del d.lgs. n. 81/2008 successivi al Titolo I o in altre norme di legge, e che oltre a prevedere una formazione integrativa in merito a rischi specifici individuino in modo dettagliato percorsi formativi con molteplici contenuti, diretti a esigenze ben definite e particolari di tutela, che richiedono corsi ad hoc”.
Da tale affermazione sembra, pertanto, discendere la seguente regola: la formazione che esaurisce normalmente l’obbligo è quella disciplinata dall’art. 37 (e 34) e dagli accordi del 21 dicembre 2011 (distinguendo tra parte generale e parte specifica); tuttavia a questa si aggiunge, in quanto “speciale”, quella prevista da norme (il TU o altre norme collegate) che prevedono una formazione integrativa in merito a rischi specifici, individuando in modo dettagliato percorsi formativi con molteplici contenuti, diretti a esigenze predefinite e particolari di tutela, che richiedono corsi appunto “speciali”.
E’, quindi, l’esistenza di un percorso formativo dettagliato, mirato a soddisfare esigenze predefinite e particolari di tutela del lavoratore, del quale la legge individua in modo puntuale e particolare le caratteristiche, in termini di durata, contenuti, modalità, ecc., a costituire il criterio distintivo tra la formazione “specifica”, prevista nei titoli successivi al primo (anch’essa disciplinata dagli accordi) e quella “speciale” che, invece, ne risulta esclusa.
In via meramente esemplificativa, il nuovo accordo afferma che deve ritenersi “speciale”, ossia aggiuntiva, la formazione in tema di attrezzature di cui all’art. 73 del d.lgs n. 81/2008 (la cui disciplina di dettaglio è contenuta nell’accordo Stato-Regioni del 22 febbraio 2012), così come quella avente ad oggetto il montaggio e lo smontaggio dei ponteggi (ex art. 163, comma 6, d.lgs n. 81/2008) o quella in materia di amianto (ex art. 258, d.lgs n. 81/2008) o ancora, azzardiamo noi, quella prevista dal d.P.R. n. 177/2011, relativa ai luoghi confinati. Viceversa, sempre a titolo esemplificativo, non è ritenuta speciale quella che fa genericamente riferimento ad una formazione “adeguata” o locuzioni simili, come nel caso di quella relativa alla movimentazione manuale dei carichi o al lavoro al videoterminale: in questi casi espressamente si afferma trattarsi di “formazione “specifica” e, quindi, disciplinata dagli accordi del 21 dicembre 2011 e non “speciale”.
Formazione c.d. sostitutiva
Al fine di evitare ripetizioni di percorsi formativi (inutili ed onerose), l’accordo del 25 luglio, riconoscendone il valore di credito formativo a prescindere dal momento in cui è stata erogata (prima o dopo la pubblicazione degli accordi), attribuisce una sorta di efficacia “sostitutiva” della formazione prevista negli accordi del 21 dicembre 2011, a tutti quei percorsi formativi che, per numero di ore, contenuti e argomenti, oltreché per modalità di aggiornamento, sono equivalenti o superiori a quelli disciplinati negli accordi stessi.
Questi corsi, quindi, previa dimostrazione dell’avvenuta effettuazione, costituiscono credito formativo ai fini del rispetto dell’obbligo di legge: con essi, il datore di lavoro adempie validamente all’obbligo formativo e non dovrà sottostare anche alle previsioni degli accordi del 2011.
L’accordo esemplifica due ipotesi di percorsi formativi “sostitutivi”: quelli contenuti nel DM 16 marzo 1998 (cd Direttiva Seveso) e nel DM 16 ottobre 2009 (conducenti autoveicoli statali adibiti al trasporto di merci o passeggeri).
In questa formazione, così come in qualsiasi altra, non rientra l’addestramento. L’accordo in esame, infatti, conferma che quello del 21 dicembre 2011 non disciplina l’addestramento (da intendersi quale complesso delle attività dirette a fare apprendere ai lavoratori l'uso corretto di attrezzature, macchine, impianti, sostanze, dispositivi, anche di protezione individuale, e le procedure di lavoro), il quale resta autonomamente assoggettato alla disciplina generale (ex art. 37, comma 5) ed a quella speciale (ad esempio, ex art. 77, comma 5, sull’uso dei DPI di terza categoria).
Formazione e valutazione dei rischi
Seppur in modo incidentale, all’interno della precisazione relativa al fatto che, gli accordi, integrando il TU, non intervengo a modificare le disposizioni che disciplinano i momenti in cui la formazione dei lavoratori deve essere erogata (art. 37, comma 4) e ripetuta (art. 37, comma 6), l’accordo del luglio scorso, contiene la precisazione di un principio basilare di portata fondamentale, non solo e non tanto nell’economia di quanto in esso disciplinato, bensì nell’indirizzo interpretativo e applicativo del complessivo adempimento dell’obbligo di formazione in materia di salute e sicurezza: sottolineando “la necessità che la formazione sia comunque progettata e realizzata tenendo conto delle risultanze della valutazione dei rischi”, l’accordo afferma che “il percorso formativo e i relativi argomenti possono essere ampliati in base alla natura e all’entità dei rischi presenti in azienda, aumentando di conseguenza il numero di ore necessario”.
Secondo la Conferenza, dunque, alla luce di questo principio, può dirsi che “in linea di massima la formazione da erogare al lavoratore e, per quanto facoltativa nell'articolazione, ai dirigenti e ai preposti, viene individuata avendo riguardo al "percorso" delineato dall'accordo ex articolo 37 del d.lgs. n. 81/2008, che costituisce un percorso minimo e, tuttavia, sufficiente rispetto al dato normativo, salvo che esso non debba essere integrato tenendo conto di quanto emerso dalla valutazione dei rischi o nei casi previsti dalla legge (si pensi all'introduzione di nuove procedure di lavoro o nuove attrezzature)”.
Condizioni particolari dei lavoratori e riduzione della formazione
Qualche perplessità e più di una difficoltà applicativa aveva destato nell’accordo del 21 dicembre la previsione che, al fine di contestualizzare l’obbligo di formazione specifica dei lavoratori, prevede che essa abbia ad oggetto i rischi individuati nel punto 4 solo in conseguenza dell’effettiva esposizione agli stessi, opportunamente stabilendo che, indipendentemente dal settore di appartenenza dell’azienda, i lavoratori che svolgono mansioni per le quali la loro presenza nei reparti produttivi non è normalmente prevista, frequenteranno soltanto i corsi di formazione previsti per il rischio basso.
L’accordo in esame, affermato che i percorsi formativi sono elaborati sulla base della classificazione ATECO delle aziende, sancisce il principio secondo il quale la classificazione dei lavoratori, nei soli casi in cui esistano in azienda soggetti non esposti a medesime condizioni di rischio, può essere fatta anche tenendo conto delle attività concretamente svolte dai soggetti medesimi, prendendo a riferimento quanto emerso nella valutazione dei rischi.
La valutazione del rischio, in questo senso, si pone giustamente al centro del processo formativo, incidendo in modo rilevante anche al fine di individuarne concretamente il percorso, fino al punto di derogare, nel caso in cui da essa emerga la presenza di un rischio maggiore o minore rispetto all’astratta codifica dell’attività, alla stessa classificazione ATECO,.
La ricaduta di tale scelta interpretativa è la seguente: il percorso formativo dovrà essere modellato soprattutto secondo quanto indicato nella valutazione dei rischi, cosicché il datore di lavoro di un’azienda classificata a rischio “alto” secondo la codificazione ATECO, potrà erogare una formazione coerente con i differenti percorsi del rischio “medio” o “basso” per quei lavoratori che sono esposti solamente a rischi che rientrano in queste differenti classificazioni.
Diversamente, in un’azienda classificata nel rischio “basso”, nel caso in cui la valutazione dei rischi evidenzi settori, reparti o processi a rischio “medio” o “alto”, limitatamente a questi settori, il datore di lavoro dovrà erogare un percorso formativo coerente con questo livello di rischio.
Lo scopo di tale decisione applicativa è, con tutta evidenza, quello di rendere coerente la formazione in materia di sicurezza con il rischio effettivamente presente in azienda, evitando semplificazioni e generalizzazioni, improduttive di effetti culturali e pratici, e, soprattutto, inutilmente onerose.
La collaborazione in materia di formazione con gli enti bilaterali e gli organismi paritetici
Uno degli ambiti dell’accordo del dicembre 2011 che aveva ingenerato dubbi e perplessità maggiori e sul quale si attendevano adeguati chiarimenti, stranamente contenuto in una nota delle premesse, riguarda il vincolo o presunto tale alla realizzazione dei corsi di formazione per i lavoratori in collaborazione (ex comma 12 dell’art. 37 del D.Lgs n. 81/2008) con gli enti bilaterali quali definiti all’articolo 2, comma 1, lett. h) del D.Lgs. n. 276/2003 e con gli organismi paritetici così come definiti all'articolo 2, comma 1, lettera ee), del D.Lgs. 81/2008, ove esistenti sia nel territorio che nel settore nel quale opera l’azienda.
Così come autorevolmente sostenuto in dottrina, l’accordo del luglio 2012 , ribadendo “quanto già esposto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali nella circolare n. 20 del 29 luglio 2011”, afferma che l’art. 37, comma 12, “non impone al datore di lavoro di effettuare la formazione necessariamente con gli organismi paritetici quanto, piuttosto, di mettere i medesimi a conoscenza della volontà di svolgere una attività formativa; ciò in modo che essi possano, se del caso, svolgere efficacemente la funzione che il "testo unico" attribuisce loro, attraverso proprie
proposte al riguardo”.
L’accordo aggiunge, inoltre, che “tale richiesta di collaborazione opera unicamente in relazione agli organismi paritetici che abbiano i requisiti di legge” ovvero che “siano costituiti nell'ambito di organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (in questo senso la definizione di "organismo paritetico" dettata all'articolo 2, comma
1, lettera ee), del d.lgs. n. 81/2008) e che svolgano la propria attività di "supporto" alle aziende operando sia nel territorio che nel settore economico del datore di lavoro (in questo senso
l'articolo 37, comma 12, citato).
“Rispetto a tale previsione, l’accordo “ritiene che il "territorio" di riferimento possa essere individuato nella Provincia, contesto nel quale usualmente operano gli organismi paritetici”.
Solo nel caso in cui “il sistema di pariteticità non sia articolato a livello provinciale ma sia comunque presente a livello regionale, la collaborazione opererà a tale livello”.
Laddove gli organismi paritetici non siano, invece, presenti a né a livello provinciale né a livello regionale, “il datore di lavoro che intendesse farlo, senza che - in tal caso - si applichi la previsione di cui all'articolo 37, comma 12, del "testo unico", potrà comunque rivolgersi ad un livello superiore a quello regionale”.
Altra precisazione molto importante sul punto in esame, a livello operativo è quella secondo la quale, per le alle aziende con più sedi in differenti contesti territoriali, l'organismo di riferimento può essere individuato avendo riguardo alla sede legale dell'impresa.
Attese le frequenti richieste di chiarimento pervenute, l’accordo, ai fini del possesso dei citati criteri di legge da parte dell'organismo paritetico, “ritiene di individuare quale criterio presuntivo della c.d. “rappresentatività comparata” (sempre solo limitatamente alle finalità di cui alla interpretazione dell'articolo 37, comma 12, del d.lgs. n. 81/2008) applicabile quello di essere costituito nell'ambito di associazioni datoriali o sindacali cui aderiscano organizzazioni datoriali o sindacali - nazionali, territoriali o di settore -firmatarie di un contratto collettivo nazionale di lavoro”, dovendosi escludere “la rilevanza della firma per mera adesione, essendo necessario che la firma sia il risultato finale di una partecipazione ufficiale alla contrattazione”.
Siffatto criterio “non pregiudica la possibilità delle singole organizzazioni datoriali o sindacali di dimostrare le propria rappresentatività secondo altri consolidati principi
Giurisprudenziali”.
Utile per risolvere la questione della comunicazione da parte del datore se vi è compresenza di più organismi nel territorio di riferimento è la decisione dell’accordo secondo cui la richiesta di collaborazione può essere avanzata anche ad uno solo degli organismi paritetici in possesso dei requisiti dianzi richiamati.
Per semplificare l’adempimento l’accordo prevede che le imprese che hanno più sedi in differenti contesti territoriali possano, discrezionalmente, individuare l’organismo di riferimento al quale fare l’unica richiesta di collaborazione in quello presente nel territorio della propria sede legale.
Relativamente alla richiesta di collaborazione, l’accordo afferma che può essere avanzata in qualunque modo idoneo allo scopo (ad esempio, anche con semplice comunicazione per posta elettronica) purché contenga indicazioni sufficienti a consentire all’organismo paritetico di comprendere il tipo di intervento formativo di riferimento e, quindi, di essere in condizione di supportare il datore di lavoro.
L’accordo specifica, inoltre, che “della risposta dell’organismo paritetico il datore di lavoro tiene conto, senza che, tuttavia, ciò significhi che la formazione debba essere svolta necessariamente con l’organismo paritetico, qualora la risposta di quest’ultimo comprenda una proposta di svolgimento presso l’organismo della attività di formazione né che le indicazioni degli organismi paritetici debbano essere obbligatoriamente seguite nella realizzazione dell’attività formativa”.
La collaborazione con l’organismo paritetico non può, in ogni caso, incidere, né nel metodo né nel merito, sul dovere del datore di lavoro di organizzare ed erogare una formazione conforme alla legge.
Formazione in modalità e-learning
La possibilità di impartire la formazione in modalità e-learning presentava nell’accordo del 21 dicembre 2011, non poche criticità; il nuovo accordo introduce sul punto alcuni rilevanti elementi di chiarezza; due di questi assumono una particolare importanza: in merito alla presenza del tutor, si stabilisce che la previsione inerente la garanzia un esperto (tutor o docente) a disposizione per la gestione del percorso formativo, non significa la necessità di una sua costante presenza, bensì, piuttosto, la sua disponibilità ad intervenire, con modalità e tempi predefiniti; in merito, invece, alla verifica finale, la decisione è che questa debba avvenire in presenza fisica e non telematica, procedura espressamente consentita solo per le verifiche intermedie; la verifica in presenza “fisica” potrà, tuttavia, svolgersi attraverso lo strumento della videoconferenza, limitando – in qualche modo – l’onere organizzativo per il datore di lavoro.
Precisazioni vengono offerte anche in ordine a durata del percorso, materiali didattici e programma di formazione.
Disciplina transitoria
Passaggio fra i più complessi e farraginosi dell’accordo del 21 dicembre 2011, di difficile comprensione per gli operatori, doveva certamente essere considerato quello relativo alla disciplina transitoria per la formazione di lavoratori, dirigenti e preposti.
Il nuovo accordo prova a semplificare e fare chiarezza sul punto, stabilendo, innanzitutto, che, per quanto riguarda i corsi di formazione che le imprese intendono completare in quanto già programmati prima del giorno 11 gennaio 2012, devono essere stati “formalmente e documentalmente” approvati prima di tale data, ossia deve esistere una documentazione (quale, ad esempio, una richiesta di finanziamento o di riconoscimento avanzata per un determinato corso, un bando, un programma puntuale di attività che risulti da un accordo collettivo o, ancora, un verbale di riunione periodica) la quale dimostri che, a quella data, i corsi erano già stati progettati e pianificati.
La documentazione non richiede espressamente la data certa: sarà onere del datore di lavoro dimostrare con ogni mezzo idoneo, la circostanza che tali corsi erano in una fase molto avanzata di pianificazione e realizzazione, alla quale debba seguire solo l’erogazione.
Tale deroga, precisando la disciplina delineata dall’accordo del 2011, intende evitare di penalizzare quei datori di lavoro che su tale progettazione e pianificazione ha investito risorse, magari in condivisione con le parti sociali e/o le rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza.
La disciplina transitoria si rivolge anche alla formazione di dirigenti e preposti, seppur facoltativa secondo i contenuti e le modalità dell’accordo.
Tale formazione, introdotta dall’art. 37, comma 7, del d.lgs n. 81/2008 e prima non espressamente prevista (e tuttavia, comunque, doverosa a parere della dottrina più autorevole), ha indotto la Conferenza Stato-Regioni a distinguere l’approccio transitorio rispetto a quello relativo alla formazione dei lavoratori (per la quale, in mancanza di formazione pregressa documentata, non è concesso alcun termine dilatorio), prevedendo un termine finale entro il quale terminare il percorso formativo; si precisa, infatti, che è possibile avviare alla formazione, secondo, facoltativamente, i contenuti e modalità previste nell’accordo, dirigenti e preposti che non abbiano la possibilità di provare una adeguata formazione pregressa in modo che i relativi corsi si concludano entro e non oltre 18 mesi dal giorno 11 gennaio 2012.
Per i preposti che, prima dell’avvento del loro specifico obbligo formativo, abbiano svolto la sola formazione obbligatoria prevista per tutti i lavoratori secondo le regole previgenti (la stessa disciplina dovrebbe riguardare anche la formazione dei dirigenti, ma l’accordo in commento non ne parla), si stabilisce che gli stessi dovranno integrare solamente la parte “specifica” propria del preposto entro 18 mesi e non entro 12 come previsto nell’accordo del 21 dicembre 2011.
Un regime transitorio è previsto anche per il personale (dirigenti e preposti) di nuova assunzione, precisandosi che per “personale di nuova assunzione” non si intende solamente quello assunto ex novo, ma anche quello già dipendente al quale vengano attribuiti, successivamente al giorno 11 gennaio 2012, incarichi, compiti operativi che configurano la posizione di garanzia di dirigente o preposto.
Tali soggetti dovranno essere avviati ai corsi di formazione (con o senza le modalità di cui agli accordi) anteriormente o contestualmente all’assunzione o all’attribuzione della posizione di garanzia di dirigente o preposto. In questo caso, occorre avere completato il prescritto percorso formativo prima dell’inizio dell’attività richiesta in azienda al dirigente o al preposto. Trattasi di una precisazione leggermente modificativa di quanto previsto nell’accordo del 21 dicembre 2011, nel quale si faceva riferimento ad un momento antecedente o contemporaneo “l’assunzione”.
La locuzione normativa utilizzata che fa riferimento all’adibizione alle mansioni proprie della qualifica e non all’assunzione lavorativa, sembra consentire di individuare un lasso di tempo utile per l’inserimento dell’intervento formativo, tra il momento dell’assunzione e l’effettivo inizio dell’attività lavorativa.
Tutto ciò fermo restando che, nel caso in cui risulti impossibile completare la formazione prima dell’attribuzione della posizione di garanzia di dirigente o di preposto, il percorso formativo deve essere, comunque, completato entro e non oltre 60 giorni dall’inizio della attività lavorativa.
Benché l’accordo in commento riferisca il regime transitorio appena descritto solo a dirigenti e preposti, sembra analogicamente consentita la sua estensione anche ai lavoratori, in quanto questi sono espressamente richiamati sul punto dall’accordo del 21 dicembre 2011.
La formazione pregressa
Altro punto di complessa lettura applicativa della disciplina di cui all’accordo del 21 dicembre 2011 è quello relativo alla disciplina pregressa.
Il nuovo accordo afferma che quello del dicembre scorso non può che regolare la disciplina della formazione per il futuro, non potendo, quindi, prevedere che i nuovi percorsi debbano essere ripetuti dalle aziende che abbiano già pienamente rispettato le previgenti disposizioni in materia.
Questa importantissima precisazione chiarisce che l’accordo del 21 dicembre 2011 non cancella la formazione erogata in precedenza e non introduce alcun obbligo di ripetere l’intervento formativo, permettendo, anzi, al contrario, a patto che, beninteso, si possano dimostrare i percorsi formativi già erogati attraverso adeguata documentazione, di provare solo la necessità dell’aggiornamento quinquennale.
La formazione pregressa dei preposti
Evidenziatasi una questione interpretativa particolarmente delicata ed importante circa il riconoscimento o meno della formazione pregressa per i preposti, che sembrava esclusa dall’accordo del 21 dicembre 2011, che, al punto 11 a) faceva salvi solamente i corsi di formazione di cui al punto 4 (relativi alla sola formazione dei lavoratori) e non anche quelli del punto 5 (relativi invece all’integrazione per i preposti), l’accordo del 25 luglio scorso offre una soluzione condivisibile al problema, stabilendo che la previsione del punto 11 dell’accordo del dicembre 2011 “disciplina il “riconoscimento della formazione pregressa” e chiarendo che “per lavoratori e preposti già formati alla data dell’11 gennaio 2012 non occorre ripetere la formazione”.
Chiaro, a questo punto, è il passaggio del nuovo accordo nel quale si attribuisce al datore di lavoro l’onere di dimostrare la pregressa formazione di lavoratori, preposti e dirigenti.
Carenza di adeguata documentazione probatoria della formazione pregressa
Risultando impossibile per il datore di lavoro dimostrare (con qualsiasi mezzo di prova, anche testimoniale) la formazione pregressa, i lavoratori dovranno essere immediatamente avviati, senza alcun termine di dilazione, ai corsi di formazione; diversamente, i dirigenti e preposti avranno 18 mesi per completare la loro particolare formazione. In entrambi i casi, ovviamente, secondo le nuove regole, non dimenticando, tuttavia, la facoltatività delle modalità di cui all’accordo, per dirigenti e preposti.
Ulteriore precisazione, importante anche nell’ottica dell’effettivo avvio della disciplina del libretto formativo del cittadino, l’accordo del 25 luglio scorso la dedica all’opportunità, fors’anche all’onere se non proprio all’obbligo, che, per consentire a lavoratori, preposti, dirigenti di poter usufruire dei crediti formativi (ossia del riconoscimento della formazione pregressa) presso altre aziende, che il datore di lavoro rilasci loro copia dell’attestato relativo alla formazione effettuata.
I docenti dei corsi di formazione
L’accordo estivo dispone anche in relazione ai requisiti dei docenti, ovviamente fintanto che non diverranno operativi i criteri di formazione del formatore per la sicurezza, già elaborati dalla Commissione consultiva permanente, imponendo un’esperienza almeno triennale professionale o di insegnamento.
Poiché una lettura riduttiva di detto requisito temporale, che lo collocasse nel triennio immediatamente precedente la pubblicazione degli accordi, precluderebbe il riconoscimento del requisito a tutti quei docenti che, pur avendo esercitato questa attività continuativamente e da lungo tempo, per un qualche motivo (es. gravidanza, infortunio, etc.) abbiano temporaneamente interrotto l’attività proprio nel corso dell’ultimo triennio, l’accordo (e, in particolare, le Regioni) propongono agli organi di vigilanza di considerare sicuramente soddisfatto il requisito richiesto, avendo riguardo allo svolgimento continuativo delle funzioni di insegnamento e/o professionali per almeno tre anni nel quinquennio anteriore alla data di pubblicazione dell’accordo.
Aggiornamento
L’ultimo passaggio di notevole rilevanza, prima di quello conclusivo relativo alla formazione del RSPP del quale non ci occupiamo in questa trattazione per evidente non omogeneità con il tema oggetto della presente analisi, l’accordo lo dedica alla disciplina dell’aggiornamento della formazione.
Dopo aver opportunamente ribadito la differenza tra aggiornamento e ripetizione della formazione, così come stabilito dal TU, l’accordo precisa i termini di scadenza entro il quale effettuare l’aggiornamento nell’arco temporale del quinquennio:
Alla luce della criticità interpretativa relativa alle modalità di svolgimento dell’aggiornamento e, in particolare, alla possibilità di imputare in questa attività anche quella espletata con la partecipazione a seminari o convegni, l’accordo stabilisce che un terzo del percorso di aggiornamento (2 ore) può essere svolto mediante la partecipazione a tali iniziative, sempreché, ovviamente, i contenuti siano coerenti con quelli previsti dagli accordi del 21 dicembre 2011 (rispettivamente, per i datori di lavoro, quelli del punto 7 e, per dirigenti, preposti e lavoratori, quelli del punto 9) e sia predisposto un sistema di verifica finale dell’apprendimento.
Per la restante parte del percorso di aggiornamento, l’accordo stabilisce che esso dovrà comunque essere svolto nel rispetto delle regole organizzative contenute nell’accordo del dicembre 2011, quali, ad esempio, quelle relative al numero massimo dei partecipanti.
Poiché sull’aggiornamento dei preposti, era sorto il dubbio che questo si aggiungesse alle 6 ore previste per i lavoratori, l’accordo precisa, invece, che tale aggiornamento è comprensivo anche di quello dei lavoratori.
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