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Codifica dei rifiuti, CER. Novità all'orizzonte?

La Commissione europea sta proseguendo l’analisi necessaria a definire i criteri informatori e la struttura della nuova edizione della Lista dei rifiuti, il nuovo nome attribuito al ben noto “Catalogo europeo dei rifiuti” (CER)

Nel quadro dei lavori preparatori e delle consultazioni delle diverse parti interessate che abitualmente precedono la definizione della proposta di Decisione comunitaria di revisione del “catalogo”, la Federazione europea delle imprese che gestiscono rifiuti (FEAD) e offrono servizi  ambientali ha assunto una precisa posizione su una questione da molti anni dibattuta anche nel nostro Paese: la differenza tra rifiuti urbani di origine domestica e rifiuti speciali, perché provenienti da attività commerciali, industriali e istituzionali, assimilabili ai rifiuti urbani. 

Sebbene le imprese che si occupano di gestione dei rifiuti non abbiano avuto gravi problemi nell’impiego dell’attuale versione del CER – spiega la Federazione che le rappresenta, sono stati rilevati problemi connessi  all’errato impiego del Catalogo e alle differenti interpretazioni dei codici identificativi dei rifiuti. 

Il problema fondamentale è costituito dall’incertezza in merito alla differenziazione tra rifiuti urbani di origine domestica e rifiuti simili a questi dal punto di vista merceologico, ma provenienti da attività commerciali, istituzionali e industriali. L’incertezza in merito a questa distinzione produce effetti di notevole rilievo.

Le imprese pubbliche, spiega la FEAD, in alcuni Paesi (per esempio Austria, Belgio, Svezia e Finlandia) sostengono che non solo i rifiuti indifferenziati simili agli urbani prodotti dalle attività economiche, ma anche quelli differenziati all’origine dalle piccole e medie imprese sarebbero “simili ai rifiuti di origine domestica”, in Italia diremmo “assimilabili agli urbani”, e quindi rientrerebbero nella “privativa comunale”. Secondo questa interpretazione  non sarebbe quindi possibile per le imprese produttrici avvalersi dei servizi di raccolta privati di questo genere di rifiuti perché anche i rifiuti differenziati alla fonte e preparati per l’avvio al recupero  dovrebbero essere  presi in carico dal servizio pubblico di raccolta, quindi affidati al soggetto al quale la competente autorità locale ha affidato in concessione questo servizio. 

La corretta interpretazione dell’estensione della Classe 20 del Catalogo europeo diviene dunque decisiva: se prevalesse quella delle imprese pubbliche della raccolta dei rifiuti urbani, le imprese private sarebbero completamente estromesse dal mercato della raccolta dei rifiuti assimilabili agli urbani per composizione ma differenziati alla fonte e destinati al recupero.

In Italia, come è noto, il problema è molto simile: il Comitato nazionale dell’Albo gestori ambientali ritiene, salvo eccezioni estremamente circoscritte (20.01.01 – carta e cartone, 20.01.25 oli e grassi commestibili, ecc.) , che i codici della classe 20 siano una prerogativa pressoché assoluta delle imprese iscritte alla prima categoria, raccolta e trasporto di rifiuti urbani ed assimilati. Ne consegue che anche una separazione alla fonte del rifiuto speciale allo scopo di avviarlo al recupero non è sufficiente a consentire alle imprese iscritte alla quarta e quinta categoria dell’Albo gestori ambientali di effettuare questo genere di raccolta e trasporto. 

Secondo la Federazione europea delle imprese del settore, quindi, la classe dei rifiuti urbani è troppo vasta, mentre il rifiuto differenziato di composizione simile ma di origine industriale, commerciale e istituzionale dovrebbe essere specificamente distinto da quello d’origine domestica. 

La proposta è sostanzialmente quella di mantenere la classe 20 per i rifiuti di origine domestica e di istituire la classe 21 per le frazioni separate di rifiuti di origine industriale, commerciale e istituzionale.

Sarebbe molto importante che la Commissione europea si pronunciasse al più presto, e in modo chiaro, sulla questione.

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